mercoledì 31 dicembre 2008

...E buon anno!

Auguri di un felice 2009 dal petulante staff di Parzialmente Nuvoloso!


giovedì 25 dicembre 2008

Buon Natale

Lo staff di Parzialmente Nuvoloso augura a tutti Buon Natale!


domenica 14 dicembre 2008

Cravatte strette

Ho il piacere si accogliere su Parzialmente Nuvoloso un articolo di un amico, Leonardo, impegnato nell'informazione sui fenomeni di stampo mafioso e malavita organizzata. Invito i lettori a visitare il sito del Gruppo 3P dove si possono trovare altri articoli di Leonardo e molti altri tra cui Tale e quale, un mio articolo gia pubblicato in queste pagine.

Cravatte strette


Alcuni dicono che in prima germinazione le mafie erano forme primordiali di usura e di estorsione. Non è proprio così; le più grandi mafie italiani, come la Camorra, la ‘Ndrangheta o Cosa Nostra, sono nate da congiunture storiche e sociali molto particolari ed esclusive, ciò non toglie che sia l’attività estortiva sia quella usuraia siano una delle prime fonti di guadagno praticate per accumulare fondi da investire in affari più redditizi da gruppi criminali destinati ad organizzarsi ed evolversi anche in forma mafiosa.

Il caso più noto tra questi è quello della oramai nota come “Quinta Mafia”, genesi romana di forme di criminalità salite qua e là dall’intero Sud Italia che si sono amalgamate molto efficacemente con l’ambiente criminale locale. In breve: prima Frank Coppola detto “tre dita” con quartier generale a Pomezia a pochi chilometri dalla capitale poi Pippo Calò, noto uomo d’onore siciliano che puntava molto sul territorio laziale appena scoperto: un neonato gruppo criminale a cui serviva tuttavia ancora lustro e molto capitale.
Di qui i “cravattari”, figura mitica della romanità, che vengono inseriti nell’organizzazione per trarre il massimo profitto dallo strozzinaggio. Il noto usuraio Balducci di Campo de’ Fiori si mette in affari con Nicoletti capo della famigerata banda della Magliana ed il gioco è fatto: l’usura è diventata un’attività mafiosa.

L’usura, diffusa e radicata nella società italiana oramai da secoli, è stata anche denominata “economia delle mafie inodore”, Camorra in testa, perché da anni è diventata di rilevante interesse in quanto attività molto remunerativa che non subisce grossi sbalzi di “mercato”, ma soprattutto è silente.
In Ottobre l’operazione “pro domo sua” procura 4 arresti di appartenenti alla Stidda gelese: Giuseppina Ciaramella, moglie del boss Antonino Cavallo, i figli Giuseppe e Lorena Cavallo e il genero Leonardo Caruso.
Secondo l’accusa, applicavano un tasso usurario del 10% mensile su prestiti concessi a un imprenditore edile.
A fronte di un capitale iniziale di 62.500 euro, avrebbero già incassato dalla vittima 285 mila euro, vantando ancora interessi non pagati per 26 mila euro e la restituzione per intero della somma prestata.
cappio

Don Marcello Cozzi, responsabile regionale di Libera in Umbria ci informa: “è in atto una nuova sfida: i clan campani ad esempio offrono oggi prestiti ad interessi molto simili a quelle delle banche, rivolgendosi anche a singole famiglie e individui.”

Proprio degli ultimi giorni è la notizia che questo reato è in considerevole aumento. Dal numero degli imprenditori colpiti alla media del capitale prestato, degli interessi restituiti, dei tassi di interesse applicati; si stima che i commercianti colpiti siano oltre 180.000, con un giro d’affari che oscilla intorno ai 15 miliardi di euro. In Campania, Lazio e Sicilia si concentrerebbero un terzo dei commercianti coinvolti.
Preoccupa anche il dato della Calabria il più alto nel rapporto attivi/coinvolti. La Campania detiene il record degli importi protestati (cioè capitali non coperti o non restituiti pari a 736.085.901 euro) seguita dalla Lombardia e dal Lazio. Il Lazio e’ invece in testa alla classifica per numero dei protesti lavati (estinti dopo un certo periodo di tempo). Lo stesso Lazio (5,34%), la Campania (4,46%) e la Calabria (3,53%) sono le regioni con il più alto numero di protesti in rapporto alla popolazione residente.
Napoli è la città nella quale lo scorso anno si sono registrati più fallimenti (7,2%) che rappresenta il 15% del totale nazionale. Tutti sintomi di una fragilità e debolezza che colpisce innanzitutto i negozi, grandi o piccoli che siano.

Alle aziende coinvolte vanno aggiunti gli altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, facendo giungere ad oltre 600.000 le persone invischiate in patti usurari, a cui vanno aggiunte non meno di 15000 persone immigrate impantanate tra attività parabancarie ed usura vera e propria.

Si pensi che in Umbria si stima che solo il 3% di fenomeni usurai siano effettivamente denunciati; “una manovra che consente di riciclare anche il denaro sporco proveniente da attività illegali magari compiute in altre regioni” – commenta il procuratore Fausto Cardella.
Il motivo per il quale non si denuncia è perché l’usuraio usa la potente arma dell’intimidazione servendosi di piccoli o grandi gruppi delinquenziali che rispondono alla sola logica del quattrino per minacciare le sue vittime anche negli affetti familiari senza farsi troppi scrupoli.

Trovo dunque doveroso, visti tali inquietanti dati, dare conoscenza di una delle più comuni tecniche adoperate dagli usurai a scapito di famiglie bisognose di liquidi.
C’è da fare una premessa: il nucleo o il singolo che si propone per questo fine illecito segue una selezione sulle potenziali vittime; le prede preferite sono coloro i quali non hanno potuto usufruire di fondi bancari, magari proprio perché destinati ad attività poco chiare, singoli o piccoli imprenditori che siano, oppure chi deve coprire altri debiti con ingenti somme di denaro che non può più chiedere a gruppi finanziari non avendo più garanzie da dare loro. In poche parole lo strozzino, nel primo caso si assicura che il contribuente non farà il suo nome alle autorità giudiziarie poiché anche lui è potenzialmente perseguibile, nel secondo caso si approfitta della disperazione delle famiglie affondando il colpo finché può, cercando di allungare la pratica il più possibile per garantirsi un profitto più copioso e duraturo. In ogni caso l’usuraio conosce bene la vittima, fa in modo di entrare nel suo mondo e capirne i risvolti, se sarà un buono o un cattivo pagatore e se avrà o non avrà la forza di contrastarlo.

Scelta la vittima, che spesso si rivolge a queste eminenze già nel pieno della sua crisi finanziaria, si passa all’azione vera e propria.

Si contratta insieme la somma di denaro dato in “affidamento”e le modalità di pagamento (cadenza, tasso d’interesse..) e si va insieme dal notaio, complice più o meno consapevole, stipulando un contratto di vendita di un bene materiale (che può essere da un orologio di valore ad una autovettura…) che lo strozzino considererà “una garanzia” del denaro prestato. Legalmente dunque il bene figura come venduto e di proprietà dell’usuraio ma in realtà resta ad uso della vittima che ovviamente non avrà un soldo del denaro pattuito per la cessione.

A questo punto in sede privata l’usuraio consegnerà la somma e la vittima si appresterà a pagare nelle modalità concordate.

Dal momento in cui si salta una rata o viene infranto uno qualunque dei patti, l’usuraio rivendica il bene tramite il contratto notarile stipulato in precedenza e applica “more” arbitrarie aggiuntive alla somma già dovuta dal contribuente. In caso contrario (ma sono ben rari i casi contrari), se si paga il dovuto con regolarità e fino all’ultimo centesimo senza venire mai meno agli accordi, l’atto di vendita viene revisionato e il bene torna ad essere del legittimo proprietario; ma come si è detto questo non capita quasi mai.
Ogni minimo contrasto è punito con la violenza, gratuita ed efferata, sofferente ma mai letale, data a dosi crescenti, abbastanza di frequente per incutere timore, per educare alla sottomissione, per coltivare il profitto.

Il magistrato Lucio Lotti, in una conferenza stampa, disse a proposito degli arresti di Gela:

“Il sistema dei cravattari è fatto in modo da autoalimentarsi dando alle vittime solo la sensazione del costo fisso mensile dell’interesse da pagare, ma non la certezza della cessazione del rapporto, perchè non riuscirà mai a saldare il debito”. Dunque, “mai più rivolgersi agli usurai e se qualcuno lo ha fatto o lo sta facendo, meglio denunciare”.

Leonardo L.

Fonti:

testimonianze dirette

Libera informazione -1

Libera informazione -2

Libera informazione -3

www.tg10.it

Siciliainformazioni

giovedì 11 dicembre 2008

Buon Appetito

Riporto queste righe direttamente dal sito della FAO. Il problema è ben noto ma è spesso dimenticato dai media, anche se in seguito alla pubblicazione di questi dati si è dato un piccolo spazio nei notiziari a questa tematica. Invito a riflettere sui numeri. Attualmente la popolazione mondiale è di circa 6,7 miliardi di persone, 963 milioni è una cifra vicina al miliardo. Quasi una persona su 7.

09-12-2008

Sale a 963 milioni il numero delle persone che soffrono la fame nel mondo


Colpa dell'aumento dei prezzi alimentari. La crisi economica potrebbe aggravare la situazione

Roma, 9 dicembre 2008 - Altri 40 milioni di persone si sono aggiunti quest'anno alla lunga lista di coloro che soffrono la fame, principalmente a causa dell'aumento dei prezzi alimentari, secondo stime preliminari pubblicate oggi dalla FAO. Questo porta il numero complessivo delle persone sottonutrite al mondo a 963 milioni, rispetto ai 923 milioni del 2007. E l'attuale crisi finanziaria ed economica - avverte la FAO - potrebbe far lievitare ulteriormente questa cifra.

"I prezzi alimentari sono calati dall'inizio del 2008, ma l'abbassamento dei prezzi non ha messo fine alla crisi alimentare di molti paesi poveri", ha dichiarato il Vice Direttore Generale della FAO Hafez Ghanem, alla presentazione della nuova edizione del rapporto FAO sulla fame Lo Stato dell'Insicurezza alimentare nel mondo 2008.

"Per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo, riuscire a mangiare ogni giorno una quantità di cibo sufficiente per poter condurre una vita attiva e sana è ancora un sogno lontano. I problemi strutturali della fame, come l'accesso alla terra, al credito ed all'occupazione, sommati ai prezzi sostenuti dei generi alimentari, continuano ad essere una spaventosa realtà", ha sottolineato Ghanem.

I prezzi dei principali cereali sono calati di oltre il 50 per cento rispetto al picco raggiunto agli inizi del 2008, ma rimangono tuttavia alti rispetto agli anni precedenti. Nonostante il sensibile calo degli ultimi mesi, l'Indice FAO dei prezzi alimentari nell'ottobre 2008 era ancora un 20 per cento più alto rispetto all'ottobre 2006.

Con i prezzi delle sementi e dei fertilizzanti (ma anche di altri input) più che raddoppiati rispetto al 2006, i contadini poveri non sono stati nelle condizioni di poter aumentare la produzione. Ma gli agricoltori più ricchi, soprattutto nei paesi sviluppati, sono riusciti a sostenere i prezzi più alti e ad espandere le semine. Di conseguenza la produzione cerealicola dei paesi sviluppati è probabile aumenti di almeno il 10 per cento nel 2008. L'aumento nei paesi in via di sviluppo potrebbe non essere superiore all'uno per cento.

"Se i prezzi più bassi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire le semine, l'anno prossimo potrebbe verificarsi un'altra drammatica ondata di prezzi alimentari alti", aggiunge Ghanem. "L'obiettivo del Vertice dell'alimentazione del 1996 di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 2015 richiede un forte impegno politico e finanziario di almeno 30 miliardi di dollari l'anno per l'agricoltura e per le misure di protezione sociale delle popolazioni povere".

Dove vivono i poveri

La stragrande maggioranza delle persone sottonutrite - 907 milioni - vive nei paesi in via di sviluppo, secondo i dati 2007 riportati nel rapporto Lo Stato dell'Insicurezza alimentare nel mondo. Di questi, il 65 per cento vive in soli 7 paesi: India, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Indonesia, Pakistan ed Etiopia. I progressi in questi paesi molto popolosi inciderebbe in modo significativo sulla riduzione globale del numero degli affamati.

Popolazione numerosa e progressi relativamente lenti nella riduzione della fame fanno sì che circa due terzi di coloro che soffrono la fame vivano in Asia (583 milioni nel 2007). In compenso però alcuni paesi del sud-est asiatico, come la Tailandia ed il Vietnam, hanno fatto notevoli passi avanti verso il raggiungimento dell'obiettivo del Vertice dell'alimentazione, mentre Asia del sud ed Asia centrale hanno registrato una battuta d'arresto nella riduzione della fame.

Nell'Africa sub-sahariana una persona su tre - vale a dire circa 236 milioni nel 2007 - è cronicamente affamata, dato che rappresenta la proporzione più alta di persone sottonutrite sul totale della popolazione, fa notare il rapporto. Il grosso di questo aumento si è registrato in un singolo paese, la Repubblica Democratica del Congo, conseguenza della persistente situazione di conflitto, da 11 milioni il numero è lievitato a 43 milioni (nel 2003-05) portando la proporzione delle persone sottonutrite dal 29 al 76 per cento del totale.

Nell'insieme l'Africa sub-sahariana ha fatto qualche passo avanti nella riduzione della proporzione delle persone che soffrono la fame cronica passando dal 34 per cento del biennio 1995-97 al 30 per cento del biennio 2003-2005. Ghana, Congo, Nigeria, Mozambico e Malawi sono i paesi che hanno registrato la riduzione più marcata. Il Ghana è il solo paese che ha raggiunto sia l'obiettivo di riduzione del numero, stabilito dal Vertice dell'alimentazione, sia quello della diminuzione della proporzione, stabilito dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio. La crescita della produzione agricola è stata senz'altro il fattore decisivo di questo successo.

La regione dell'America latina e Carabi era quella che nel 2007 aveva registrato i maggiori passi avanti nella riduzione della fame prima dell'impennata dei prezzi alimentari, che ha fatto salire il numero delle persone affamate a 51 milioni.

I paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa hanno in generale registrato bassi livelli di persone sottonutrite, ma conflitti (Afghanistan ed Iraq) e rialzo dei prezzi alimentari hanno fatto salire il numero dei sottonutriti dai 15 milioni del biennio 1990-92 a 37 milioni nel 2007.

Gli effetti della crisi

Alcuni paesi erano sulla buona strada per il raggiungimento dell'obiettivo del Vertice prima che i prezzi alimentari schizzassero in alto, ma "perfino questi paesi hanno subito delle battute d'arresto e parte dei progressi fatti sono stati cancellati a causa dei prezzi alti. La crisi ha principalmente colpito i più poveri, i senza terra ed i nuclei familiari con donne capofamiglia", ha detto Ghanem. "Ci vorrà un enorme e risoluto impegno a livello globale ed azioni concrete per ridurre il numero di coloro che soffrono la fame cronica di 500 milioni entro il 2015".

La situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi man mano che la crisi finanziaria colpirà le economie reali di nuovi paesi. Una domanda ridotta nei paesi sviluppati minaccia i redditi dei paesi in via di sviluppo attraverso le esportazioni. Sono inoltre a rischio le rimesse di denaro, gli investimenti e tutti gli altri movimenti di capitale, compresi gli aiuti allo sviluppo. Le economie emergenti in particolare saranno quelle che subiranno gli effetti della stretta creditizia più a lungo, anche se la crisi dovesse essere di breve durata.

sabato 6 dicembre 2008

Tale e quale

La contraffazione è un fenomeno spesso sottovalutato, del quale, fatta eccezione degli addetti ai lavori, si ha una scarsa conoscenza e percezione dell’importanza che riveste all’interno del mercato globale. L’Italia ha un ruolo molto importante nel mercato internazionale dei beni contraffatti, qui il businnes è controllato da una delle organizzazioni criminali più importanti del mondo, la camorra. Al contrario di quello che succedeva negli anni ’80 e ’90 quando i falsi erano scadenti riproduzioni degli originali, spesso evidentemente diversi dai prodotti copiati, oggi, per quanto riguarda per esempio la contraffazione di calzature e abbigliamento, i “falsi” sono identici agli originali, sono costruiti con le stesse materie prime, le stesse tecnologie, gli stessi marchi. Come è possibile che questi prodotti riescano ad eguagliare in tutto e per tutto gli originali? La risposta è talmente semplice da risultare incredibile: sono prodotti dalle stesse fabbriche che lavorano per le griffe. Le grandi aziende, come è noto, producono i loro capi in aziende dislocate in tutto il mondo, in paesi in cui i costi di produzione sono molto più bassi, per esempio in Cina. Queste stesse fabbriche sono preda delle organizzazioni criminali che hanno la disponibilità economica per poter investire ingenti capitali e la forza di distribuire i prodotti in tutto il mondo. E’ lecito a questo punto chiedersi perché le grandi griffe non si ribellano a tali traffici. La malavita ha il controllo della distribuzione, cioè del trasporto, dei tir, dei negozi, sarebbe capace quindi di creare enormi ostacoli alle aziende semplicemente aumentando i prezzi di tali servizi , questo è il motivo per cui le griffe preferiscono condividere una fetta del loro mercato con la camorra. La maggior parte dei prodotti contraffatti, nel 2006 il 93,4% ,arriva in Italia dalla Cina. La grande porta attraversata da queste merci è il porto di Napoli: proprio in questo porto opera il più grande armatore cinese, la Cosco, che insieme alla MSC, società svizzera, ha preso in gestione il più grande terminal per container, si sta parlando della terza e della seconda flotta più grandi del mondo. Come ci informa Roberto Saviano, riportando risultati di investigazioni delle forze dell’ordine, “il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell'import tessile dalla Cina. Ma bisogna fare attenzione ai dati: perché in realtà oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui nel porto di Napoli”. Si capisce così la potenza camorristica, in grado di stringere relazioni internazionali, di controllare uno dei porti più importanti d’Europa, di far passare inosservati interi container. La camorra si preoccupa di far arrivare le merci in tutto il mondo fin al punto, per esempio, di detenere il monopolio di giacche contraffatte e trapani bosh di tutta la Germania.

Gli acquirenti di merce contraffatta non sono sempre soggetti consapevoli, la malavita è infatti in grado di inserire i propri prodotti nei circuiti di vendita tradizionali, i negozi. Già diversi anni fa la camorra imponeva ad alcuni commercianti in Liguria di rifornirsi esclusivamente di prodotti falsi. E’ possibile quindi che si sia acquistato un prodotto contraffatto in un normalissimo negozio senza la consapevolezza di averlo fatto. I proventi derivati da questa attività dalle associazioni criminali sono paragonabili e a volte superano gli introiti derivati da altri traffici, come quello della droga; il mercato della contraffazione permette di guadagnare ingenti somme reinvestibili nelle altre attività ma anche di riciclare i soldi incassati dagli altri mercati illeciti presentando minori rischi potendo contare su legislazioni spesso inefficaci e diverse da paese a paese. Ci si rende conto dell’enorme complessità del fenomeno che sfrutta la globalizzazione a proprio vantaggio mettendo in piedi meccanismi articolati che permettono a quantità enormi di merci di essere invisibili sfuggendo a qualsiasi controllo. Si stima che globalmente questo mercato ammonti a circa il 5-7% del mercato legale con danni enormi per quanto riguarda l’evasione fiscale cioè le mancate tasse riscosse dai vari stati. Si stima, inoltre, che a causa della contraffazione, solo nell’Unione Europea, ogni anno vengano persi più di 100,000 posti di lavoro. Tali numeri ovviamente non vengono mossi solo dalla contraffazione dei capi d’abbigliamento che sono stati presi prima ad esempio, il mercato del falso infatti si occupa praticamente di qualsiasi bene, dalla tecnologia, ai ricambi per automobili, al software, ai medicinali. Proprio quest’ultimo è fonte di enorme preoccupazione; i medicinali contraffatti sono prodotti che possono contenere livelli di principio attivo molto inferiori rispetto ai medicinali originali e quindi risultare inutili, ma può accadere anche che contengano sostanze nocive o letali. Citando fonti Onu: ” L’Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce inoltre che, a livello globale, una percentuale compresa tra il 7% e il 10% di tutti i prodotti farmaceutici presenti sul mercato potrebbe essere contraffatta, raggiungendo un totale di 30-40% in alcune regioni dell’Africa. Nell’Unione Europea, la confisca di prodotti farmaceutici contraffatti durante il periodo 2005-2006 è aumentata del 383%. La confisca di tali articoli è passata da quasi 570,000 uinità nel 2005 a più di 2,700,000 nel 2006. I farmaci contraffatti vengono solitamente venduti a consumatori inconsapevoli poiché i contraffattori sono in grado di infiltrare i loro prodotti nella catena di distribuzione legale. Come risultato, medicine contraffatte sono state scoperte in farmacie locali anche in paesi europei e nordamericani.

Tutte le fonti utilizzate per la stesura di questo articolo sono riportate nei link sottostanti. Invito chi volesse approfondire a leggere i documenti e vedere i video riportati davvero interessanti.


Valerio


http://www.onuitalia.it/events/torino_report_contraffazione.php (cliccare in fondo press kit )

http://www.onuitalia.it/events/UNICRI_Contraffazione_e_crimine_organizzato.doc

http://www.robertosaviano.it/articoli/8958/116/0

http://www.youtube.com/watch?v=TVdZx2kUNd0



martedì 18 novembre 2008

Ogni Punto è sorgente d'Onda

Sono ormai molti giorni che le università di tutta Italia si mobilitano contro la legge 133 attraverso manifestazioni, occupazioni, lezioni autogestite e nelle piazze e con altre forme creative di dissenso. Il movimento ha preso il nome di Onda ed è una realtà che si presenta come svincolata dai tradizionali organi di rappresentanza quali partiti politici o sindacati. L'Onda si propone non solo di bloccare gli interventi del governo in materia di scuola ed università ma anche di proporre un modello di autoriforma del sistema universitario. Per avere maggiori informazioni sull'Onda segnalo quello che mi pare il sito di riferimento http://ateneinrivolta.org/ . Vorrei qui commentare il fenomeno che ho avuto la fortuna di osservare da vicino partecipando ad alcuni cortei e a buona parte dell'assemblea nazionale svoltasi alla Sapienza il 15 e 16 Novembre. Credo che sia straordinario vedere tanti ragazzi scendere in piazza, confrontarsi nelle assemblee, informarsi sullo stato attuale del sistema scolastico, creare occasioni di dibattito, di scambio, andare per le città e portare l'università con tanto di proiettori, professori e lezioni, manifestare con tanta determinazione quanta gioia e leggerezza. L'Onda è un movimento organizzato e lo si capisce non solo vedendo le manifestazioni di piazza ma soprattutto constatando che il 15 nell'aula 1 di lettere alla Sapienza sono venuti a portare le proprie esperienze ragazzi dagli atenei di tutt'Italia, Napoli, Milano, Torino, Cosenza, Trento e molte altre, ognuno con le proprie storie, i raconti delle proteste da tutti gli angoli d'Italia, le proprie idee e punti di vista. Credo sia una grande risposta a chi ci addita come la generazione delle veline e dei tronisti, quelle stesse persone che hanno lasciato il paese in cui viviamo nelle condizioni che sappiamo, gli stessi che hanno fallito miseramente nei loro intenti ma continuano imperterriti e senza pudore a urlare le loro fallimentari ragioni vecchie di 40 anni per non dire di due secoli. L'Onda è la prova che la nostra generazione sa essere portatrice di riflessioni e contenuti spesso migliori della sterile dialettica politica che siamo costretti a subire nei vari teatrini televisivi. Al di la delle idee di fondo che porta avanti, le quali possono non essere condivise da tutti, credo che l'Onda sia un simbolo della forza, della competenza, della voglia di costruire e di affermarsi di una parte consistente della gioventù di questo paese, della voglia di reagire a ciò che è percepito come un sopruso, dell'esigenza del confronto e dell'informazione in un momento in cui i modelli televisivi impongono sempre più una cultura dell'incompetenza dove ognuno si sente in dovere di esprimere giudizi (e voti) al di la delle proprie competenze.





lunedì 27 ottobre 2008

Essere donna in Italia a volte...

Poche sere fa mi trovavo a discutere con Leonardo, compagno di studi universitari, a proposito di questo tema. Ripensandoci ho trovato le nostre conoscenze vaghe, confuse, forse anche condizionate da qualche luogo comune. Ringrazio Leonardo per aver condiviso per qualche minuto la conversazione e per aver scaturito un approfondimento. Questo e' quanto di più recente e argomentato abbia trovato. Alla fine del post è riportato il link dei dati Istat completi.

Da la Repubblica
(21 novembre 2007)




In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze
Per le più giovani ancora oggi è questa la prima causa di morte
Violenza sulle donne
La strage delle innocenti
L'ultimo stupro ieri, a Pordenone, in pieno centro: lei ghanese, lui italiano

Violenza sulle donne
La strage delle innocenti


Un manifesto contro la violenza
di ANNA BANDETTINI
MILANO - I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una verità odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte da un amico a Torino... L'ultima è stata resa nota ieri: una ventenne originaria del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone.

In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove c'è povertà, ignoranza, non da noi.

Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente.
Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà. Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia.

"È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.

Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista.

L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. "Da anni ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha fine".

In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia.

Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare, riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di disavventura. Ragazze che dicono "me la sono cercata", donne sposate che si scusano: "lui è sempre stato nervoso"...", racconta Daniela Fantini, ginecologa del Soccorso Violenza Sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano. È in posti come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96% delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perché non si denuncia chi si ha amato, forse perché non si hanno le parole per dirlo.

La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio". Va fatta una legge, concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina Rinaldi del ministero per le Pari Opportunità - Oggi abbiamo finalmente le risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20 milioni di euro per redarre il piano antiviolenza".

"Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del movimento "Usciamo dal silenzio" - Una legge come quella spagnola, la prima che il governo Zapatero ha voluto perché riguarda la più brutale delle diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne autonomia, responsabilità e capacità di scelta. Ecco il salto culturale. Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto nell'agenda politica dei governi.

Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di controllo della pubblicità e dei media, cattivi maestri nel perpetuare stereotipi che impongono sulle donne il modello "fedele e sexy". E chiediamo agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi".

Qualcuno si è già mosso. Gli uomini dell'associazione "Maschileplurale", per esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Sì, gli uomini devono farsene carico. La violenza è un problema loro, non delle donne - dice Clara Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo italiano - Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità e sul perché dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile, potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo.


LINK


Valerio.

lunedì 13 ottobre 2008

Reale

Berlusconi: "Crisi mercati non coinvolgerà l'economia reale"

Sollevati Emanuele Filiberto e gli altri Savoia: le loro ricchezze sono salve.

Alessio

martedì 7 ottobre 2008

Ai bordi delle città...

Mi spiace lasciare in evidenza per così poco il link del giochino di virgola che vi segnalo nel post precedente per farsi due risate nei confronti di quell’insopportabile gattino delle suonerie per cellulari. Mi preme affrontare un tema che da tempo avevo intenzione di trattare nel blog ma a cui alla fine non mi sono più dedicato. Dopo anni di degrado, sofferenze, disagi comincio a sentire nominare le periferie delle grandi città. Le periferie hanno dei problemi. E meno male. Qualche giorno fa vedo Studio Aperto andare a Tor bella monaca, bel tentativo, peccato che la complessità e la varietà raccapricciante dei problemi e delle tragedie metropolitane non venga fuori. Non credo di star usando espressioni esasperanti o troppo colorite, sarà che girando per Roma mi sono accorto che avere un distributore di siringhe automatico vicino casa non e’ la normalità di tutti i quartieri. Sarà che abito in una terra di mezzo che separa la periferia, Ostia, dalla periferia della periferia, Ostia Nuova com’è chiamata, anche se ormai tanto nuova non lo è più. Potrei denunciare il traffico di droga sul litorale romano ma questa è una triste ovvietà, basta leggere la stampa locale per rendersi conto della portata del fenomeno droga, ci sono sequestri quasi giornalieri di sostanze di ogni genere. Quello che mi preme portare alla luce, se fossi capace di far strillare le parole lo farei, è una tremenda involuzione per certi versi, un disgregamento del tessuto sociale nelle periferie. Cerco di spiegarmi meglio. Gli episodi di violenza, soprattutto da parte dei ragazzi, sono aumentati esponenzialmente negli ultimi anni, sono tornate le pistole e i colpi sono stati sparati anche per motivi futili, vedi inquilino che scende a lamentarsi per il baccano per strada di notte e una pistolettata che parte. Tra i ragazzi si affermano antivalori di violenza, si vedono sempre di più branchi di giovanissimi dediti a vere e proprie azioni malavitose, dall’estorsione (bullismo è una parola troppo leggere, almeno qui) ai pestaggi, alla devastazione, cioè cassonetti incendiati, cabine telefoniche devastate, automobili devastate. Il tasso di analfabetismo, persone che leggono a stento per non capire cosa leggono, è incredibile, troppi ragazzi crescono con la prospettiva di un futuro nella malavita che trova humus fertile nel degrado metropolitano. Mi piacerebbe riuscire ad approfondire meglio la tematica malavitosa ma sono dinamiche estranee alla mia quotidianità e non posso fornire informazioni migliori. La realtà, per come la vedo, è che si è già creato un clima di paura dove si appoggia la prepotenza e la sopraffazione, nessuno ormai ha il coraggio di protestare davanti a quelle che sono vere e proprie umiliazioni quotidiane. Vedere deturpati i mezzi pubblici e aver paura di protestare (contro un 14enne) vuol dire subire un’umiliazione, dover sentire gli schiamazzi di branchi di ragazzi che si insultano a distanza senza esclusione di bestemmie vuol dire subire un’umiliazione, vedere ogni giorno alla stazione gli stessi soggetti ed esserne, giustamente, intimoriti vuol dire subire un’umiliazione, rinunciare ad essere tranquilli per strada ricordandosi che c’è gente che e’ stata picchiata per un parcheggio (o roba simile) davanti alla sua famiglia (moglie e figlio piccolo) e qualche altro che ancora non sa perché sia stato picchiato vuol dire subire un’umiliazione. NESSUNO sembra interessarsi di tutto questo, nessuno che si interroghi sui motivi e sulle cause di tanto degrado e forse gli spaccati di Pasolini sulle borgate non servono più, altre personalità del genere non si vedono all’orizzonte. Che si prenda consapevolezza di quello che succede, anche nelle stesse periferie; signori che abitate a monteverde o ai parioli, pensate che al mare c’è gente che afferma di abitare ai “Parioli di Ostia”, se state ridendo fate bene anche se in fondo non è gente molto diversa da quella dei quartieri bene, piena di soldi, libero giudizio e disprezzo su tutto e tutti, giardini pubblici al centro della vita sociale del quartiere, e magari bandiere arcobaleno, canne e scarpe da 250€ per sentirsi più vicini ai proletari: farebbe bene farsi di meno i cazzi propri e pensare meno a come papà vi sistemerà la vita.

Aiutiamoci ad alzare la voce, aiutiamoci ad alzare davvero la testa, aiutiamoci a riappropriarci della nostra città,aiutiamoci a capire cosa succede e come intervenire, aiutiamoci ad aiutare troppi ragazzi persi in partenza. Se pensate che queste poche righe siano vaghe, poco analitiche, probabilmente avete ragione, non so di preciso cosa stia avvenendo all’interno di questa fascia, l’ultima, della società, ma gli effetti che vedo sono terribili, ancora di più perché non ci si sta rendendo conto del drastico peggioramento della situazione.


Valerio.

lunedì 6 ottobre 2008

La caccia che ci piace...

Stavolta vi segnaliamo un giochino Flash davvero divertente...

Uccidi il gattino Virgola!!!

Ringraziamo i creatori, gli host e Lidia che me l'ha segnalato.

Attenzione: Questo non è un intervento ludico. E' un intervento che si vuole opporre a quelle schifezze di pubblicità che ci propinano in tv al solo fine di rubare soldi a persone facilmente condizionabili e/o condizionate. Sveglia!! Fa schifo!!!

Alessio

sabato 4 ottobre 2008

De Venatione

Come sempre, faccio copia-incolla di un articolo che mi ha colpito (da Repubblica.it):

ROMA - Doppiette senza freni. Si comincerà a sparare ad agosto, quando ancora il periodo della riproduzione non si è concluso, e si finirà a fine febbraio, colpendo i migratori protetti dall'Europa. Nel mirino finiranno peppole, fringuelli, corvi e cormorani, tutte specie tutelate dalla direttiva 409 di Bruxelles. E i cacciatori non saranno più vincolati al territorio di residenza, come è previsto dalla legge attuale per evitare una pressione squilibrata sul territorio e sulla fauna, ma per 15 - 30 giorni all'anno potranno concentrarsi a loro piacimento, magari nella zona di passaggio dei migratori.

E' questo il profilo della nuova legge sulla caccia proposta dal pdl: una controriforma organica che spazza via la legge quadro del 1992 (la 157) che per 16 anni ha garantito la mediazione tra la situazione precedente (una caccia ad alto impatto ambientale) e le richieste di un fronte abolizionista che molti sondaggi danno per maggioritario. Il testo, che nascerà dalla fusione di due disegni di legge convergenti (uno a firma del senatore Domenico Benedetti Valentini, l'altro dei senatori Valerio Carrara, Laura Bianconi e Franco Asciutti) sarà discusso nei prossimi giorni in Parlamento.

"Qualche parlamentare del Pdl pensa evidentemente che per la caccia sia giunto il momento della restaurazione, ma io penso che all'interno del centro destra siano in molti a considerare una sciocchezza la caccia senza regole", commenta Roberto Della Seta, capogruppo del Pd in commissione Ambiente del Senato. "Se questi ddl passassero, l'Italia si ritroverebbe isolata dal contesto normativo europeo e si vanificherebbe il lavoro prezioso di dialogo, confronto, spesso di collaborazione tra mondo venatorio, comunità scientifica, ambientalisti, organizzazioni agricole che ha consentito di sottrarre il tema della caccia a una guerra di religione e di farne un buon esempio di politiche condivise e positive".

Ma le tensioni non riguardano solo il centrodestra. A dimostrare che la spinta alla deregulation sulla caccia non segue i confini degli schieramenti politici, c'è stata la sorpresa Liguria. Dopo la minaccia della Ue di una super multa per l'autorizzazione della caccia ai fringuelli, i consiglieri Pd hanno bissato votando a favore di una norma voluta dalla Lega per ridurre da 10 a 3 gli anni dopo i quali si può sparare nei boschi colpiti dagli incendi.

"Far saltare i paletti che regolano l'attività venatoria e consentono di rispettare le norme europee è una mossa che rischia di produrre danni all'ambiente e ritorcersi contro gli stessi cacciatori", nota il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. "Il numero delle doppiette è in calo costante, mentre cresce il peso delle attività legate a un uso diverso del territorio. Per i cacciatori c'è un solo futuro possibile: stare alle regole europee e diminuire l'impatto ambientale della loro attività".


Solo per dire che la caccia è veramente una stronzata, che la si guardi da destra o da sinistra.

Alessio


P.S.: Ho scelto volutamente un'immagine innocua... Avrei potuto mettere fotogrammi molto più crudi e sensibilizzanti, ma non mi sembrava il caso. Per tutti coloro che volessero approfondire, in rete si trova di tutto e di più.

sabato 20 settembre 2008

Guerra d' indipendenza

Vorrei solo mettere all'attenzione di tutti l'evoluzione di un problema un pò dimenticato e sul quale non sempre si fa un'informazione effice ed approfondita. L'informazione non sempre riesce a dare piena consapevolezza dei problemi ma sicuramente sviluppa un punto di vista più critico e può generare curiosità ed interesse verso fenomeni che si sviluppano nella nostra società e che ci riguardano direttamente.


DROGA: ALLARME PREVOLAB, IN AUMENTO CONSUMO EROINA FRA MINORENNI

Fonte: Adnkronos

LABORATORIO PREVISIONALE, SEMPRE PIU' DIFFUSI CANNABIS POTENZIATA E POPPER

Milano, 25 giugno 2007 - Occhio all'eroina, che sembra tornare in voga negli ambienti insospettabili di minorenni socialmente ben inseriti. Ma anche attenzione alla cannabis artigianale, che entra prepotentemente sul mercato italiano con un principio attivo innalzato. E al 'popper', inalante che sta conquistando fette di clientela sempre piu' vaste, anche fra gli studenti universitari. A lanciare l'allarme sulle nuove tendenze del mercato degli stupefacenti in Italia e' il bollettino intermedio di PrevoLab, l'osservatorio nato da un accordo di programma fra la presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lombardia per tenere sotto controllo l'evoluzione dei fenomeni d'abuso. Un organismo gestito direttamente dal dipartimento Dipendenze patologiche dell'Asl Citta di Milano. Il rapporto semestrale, presentato oggi nel capoluogo lombardo, riassume e integra, con ulteriori dati raccolti durante il monitoraggio continuo, le previsioni rese note a dicembre scorso. E arriva, non a caso, alla vigilia della Giornata internazionale contro la droga, promossa dall'Onu. Sotto osservazione i nuovi dati disponibili sulla diffusione di alcune sostanze come l'eroina e i cannabinoidi in Italia, ma non solo. Nel bollettino semestrale trova spazio anche un accenno all'evoluzione del consumo di droghe che potrebbero influenzare i mercati futuri: il popper e gli altri inalanti, le sostanze 'etniche' e quelle sintetiche non inserite nella tabella ufficiale. ''Ci sono alcuni fenomeni sospetti - spiega Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze patologiche - che ci costringono a correggere le previsioni di inizio anno. Si tratta di campanelli d'allarme che non possiamo ignorare, perche' suggeriscono un'evoluzione in corso nel mercato della droga e ci possono aiutare a inquadrare in tempo i pericoli futuri''.

STIMATA CRESCITA DEL 15-16% SEQUESTRI E UTILIZZO DAL 2006 AL 2009

I ricercatori di PrevoLab stimano una crescita del 15-16% sia dei consumatori che dei sequestri di eroina in Italia tra il 2006 e il 2009. La decisione di concentrarsi sulla diffusione di questa sostanza e' frutto di alcune incongruenze emerse fra i rapporti giunti dai Sert italiani che riferendosi ai tossicodipendenti indicano una situazione di stabilita', e lo studio nazionale Ipsad (Italian population survey on alcol and drugs) che invece segnala un incremento sostanziale. ''Sembra si stiano creando due mercati paralleli'', spiega Gatti. ''Il primo rivolto al consumatore iniziale o al poliassuntore, cui corrisponderebbe la disponibilita' di sostanza con una percentuale bassa di principio attivo, e il secondo indirizzato a un consumatore abituale''. L'eroina sta tornando, dicono le previsioni. Soprattutto fra i giovani di eta' compresa fra i 15 ei 19 anni. Ragazzi socialmente ben inseriti, non tossicodipendenti relegati ai margini della societa'. A confermarlo sono sia alcune segnalazioni che arrivano da Asl e dipartimenti dipendenze della Lombardia, sia i dati sui sequestri di eroina in continuo aumento. ''Dalle elaborazioni sui dati della direzione centrale del servizio antidroga (Dcsa) emerge che i sequestri di eroina effettuati in Italia tra il 2000 e il 2005 sono piu' alti di quelli registrati negli anni di massimo allarme sociale, cioe' tra gli '80 e i '90'', avverte Gatti. ''L'eroina in circolazione sul mercato italiano - ribadisce Gatti - ha un basso principio attivo. E questo tipo di diffusione potrebbe essere frutto di una strategia per garantire la penetrazione di questa sostanza su un mercato sostanzialmente saturo e in cerca di stabilita'. Il target preso di mira sono i giovani che cominciano ad assumerla in questa forma leggera per poi scivolare verso la dipendenza''. I ricercatori di PrevoLab raccolgono dati da aree diverse: si va da interviste periodiche nei Pronto soccorso e nei Sert ai numeri sui traffici e le attitudini al consumo espresse dalla popolazione.

Una seconda tendenza ritenuta preoccupante dai ricercatori, e' quella osservata nel mercato dei cannabinoidi. Anche in Italia, sull'onda di quanto gia' successo in Gran Bretagna, sono in aumento i sequestri di sostanze con un alto principio attivo, tra il 18% e il 24%. ''Si tratta del giro della 'droga fai da te' - spiega Gatti - un settore in crescita. Lo stesso che in Inghilterra ha dato vita alla 'skunk', marijuana potenziata. Questo tipo di droga potrebbe diffondersi anche da noi. C'e' un mercato molto attivo, via internet e attraverso circuiti di negozi, che e' quello della vendita dei semi. La materia prima che potrebbe essere utilizzata per produrre cannabinoidi con principio attivo innalzato''. Da non sottovalutare e' il 'Popper', farmaco vasodilatatore che provoca euforia e stordimento, molto in voga fra i giovani. Una tendenza da approfondire, secondo Gatti. Soprattutto alla luce dei dati emersi da due studi recenti. ''Il primo e' quello condotto sugli utenti delle scuole guida milanesi dal dipartimento dipendenze patologiche dell'Asl Citta' di Milano, che colloca gli inalanti al secondo posto nella classifica delle droghe da abuso''. Un abuso consolidato, dal momento che il popper era la seconda sostanza piu' utilizzata nell'ultimo mese. Alle stesse conclusioni e' arrivata anche un'indagine sulla popolazione degli atenei milanesi. ''Si tratta - precisa Gatti - di consumi di nicchia che possono crescere indisturbati, dal momento che il livello di attenzione e' ancora basso''. Il rischio e' che adesso si sottovalutino questi segnali, fa notare l'esperto. ''Non vorrei che la giornata contro la droga indetta dall'Onu resti una commemorazione inutile. Per evitarlo e' necessario intervenire, per esempio sul mercato afgano, primo Paese produttore di oppio. A maggior ragione perche' l'Europa e' presente sul territorio con i suoi militari''. Auspicabile, conclude Gatti, sarebbe infine una legge europea sugli stupefacenti: ''Non bastano indicazioni generali. Ci vuole polso della situazione. Qualcuno si assuma la responsabilita' di coordinare strategie comuni di lotta alla droga''.

venerdì 8 agosto 2008

Tregua Olimpica

Durante le Olimpiadi, nell'antichità, per tutta la durata dei giochi le guerre venivano sospese. Questo periodo di tregua era chiamato Ekecheiria. Dal 1992 il CIO in occasione di ogni Olimpiade chiede ufficialmente alla comunità internazionale (con il supporto dell'ONU) di osservare la tregua olimpica.

Non ce la facciamo proprio.

Georgia bombarda Ossezia del Sud:
"I morti potrebbero essere migliaia"


martedì 5 agosto 2008

Perbene

Mi permetto di "rubare" questa vignetta di Ellekappa dal sito di repubblica... Merita davvero quel decimo di secondo che serve a farsi 2 risate (amare).

mercoledì 23 luglio 2008

Genova - Luglio 2001


Incollo dal sito di Sabina Guzzanti, la traduzione di un articolo di Gregor Samsa, pubblicato sul "Guardian" in Inghilterra.
July 17, 2008

Era poco prima di mezzanotte quando il primo agente di polizia colpì Mark Covell con una manganellata sul braccio sinistro.
Covell fece del suo meglio per gridare, in italiano, di essere un giornalista, ma in pochi secondi si trovò circondato da agenti in tenuta antisommossa che lo colpivano con i manganelli. Per qualche secondo, è riuscito a rimanere in piedi, fino a quando un colpo sul ginocchio non lo ha gettato sul pavimento. A faccia in giù nell’oscurità, escoriato e spaventato, si rendeva conto di avere agenti tutt’intorno, che si stavano ammassando per attaccare gli edfici delle scuole Diaz e Pertini, dove 93 manifestanti si erano accampati per passare la notte. La speranza di Covell era che gli agenti passassero attraverso la catena che chiudeva il cancello principale senza più occuparsi di lui. Se fosse andata così, avrebbe potuto alzarsi e correre oltre la strada, per cercare riparo nel centro di Indymedia, dove aveva passato gli ultimi tre giorni a scrivere sul summit del G8 e sulla violenta gestione dell’ordine pubblico. In quel momento, un funzionario di polizia si è lanciato su di lui e gli ha dato un calcio al petto talmente forte da comprimere verso l’interno l’intera parte sinistra della sua gabbia toracica e rompendogli una mezza dozzina di costole, i cui detriti hanno perforato la pleura. Covell, un metro e sessanta, è stato letteralmente sollevato dal pavimento e sbalzato in strada dal calcio. Ha sentito il poliziotto ridere mentre un pensiero si formava nella sua testa: «Non me la caverò». La squadra antisommossa stava ancora trafficando al cancello principale, e allora un gruppo di agenti pensò di ingannare il tempo usando Covell come pallone. Questa serie di calci gli ha procurato la frattura di una mano e lesioni alla spina dorsale. Da qualche parte alle sue spalle, Covell ricorda di aver sentito un altro agente gridare «Basta» prima di sentire il suo corpo trascinato sul pavimento. A quel punto, un veicolo corazzato della polizia ruppe i cancelli della scuola e 150 agenti, per la maggior parte con caschi, scudi e manganeli, fece irruzione nell’edificio indifeso. Due agenti si fermarono per occuparsi di Covell: uno gli ha rotto la testa con il manganello; l’altro lo ha preso a calci in bocca, facendogli sputare una dozzina di denti. Covell svenne. Ci sono molte buone ragioni per non dimenticare quello che è successo a Covell, che allora aveva 33 anni, quella notte a Genova. La prima è che era solo l’inizio. Per la mezzanotte del 21 luglio 2001, quegli agenti di polizia stavano sciamando in tutti i piani della Diaz, e dispensavano il loro particolare tipo di punizione alle persone che stavan lì, fino a ridurre il dormitorio improvvisato in quella che più tardi uno degli agenti avrebbe descritto come «una macelleria messicana». Loro e i loro colleghi avrebbero poi arrestato illegalmente le vittime in un centro di detenzione, diventato un luogo di puro terrore. La seconda ragione è che, sette anni dopo, Covell e le altre vittime stanno ancora aspettando giustizia. Lunedì, 15 poliziotti, guardie carcerarie e medici penitenziari sono stati finalmente condannati per la parte avuta nelle violenze – sebbene nessuno di loro andrà in prigione. In Italia, gli imputati non vanno in prigione fino a quando non hanno esaurito tutti i gradi di giudizio; e in questo caso, le condanne e le sentenze saranno cancellate dalla prescrizione, l’anno prossimo. Nel frattempo, i politici che erano responsabili per la polizia e per il personale penitenziario, non hanno mai dato alcuna spiegazione. Le domande fondamentali, su come tutto ciò sia potuto accadere, rimangono inevase e alludono alla terza e più importante ragione per ricordare Genova. Non è semplicemente la storia di un funzionario di polizia che esce dai ranghi, ma qualcosa di peggiore e più preoccupante sotto la superficie. Il fatto che questa storia possa essere raccontata è frutto di sette anni di duro lavoro di un gruppo di coraggiosi pubblici ministeri, guidati da Emilio Zucca. Aiutato da Covell e dal proprio staff, Zucca ha raccolto centinaia di testimonianze e analizzato cinquemila ore di video, oltre che migliaia di fotografie. Messi assieme, raccontano una storia incotrovertibile, che iniziò a svilupparsi mentre Covell sanguinava a terra. La polizia fa irruzione nella scuola Diaz. Alcuni di loro gridavano «Black bloc! Vi uccideremo!», ma se avessero davvero pensato di avere di fronte gli anarchici del Blocco nero che avevano causato un violento caos in alcune zone della città nei giorni precedenti, avrebbero commesso un errore. La scuola era stata concessa dalla municipalità di Genova come base per i manifestanti che non avevano nulla a che fare con gli anarchici: avevano anche messo qualcuno di guardia per evitare infiltrazioni. Uno dei primi a vedere la squadra antisommossa fu Michael Geiser, un 35enne economista belga, che poi ha descritto come in quel momento si era appena messo il pigiama e stava facendo la coda per il bagno, con tanto di spazzolino in mano, quando il raid ebbe inizio. Giesere crede nella forza del dialogo e all’inizio andò verso gli agenti dicendo «Dobbiamo parlare». Poi vide i giubbotti imbottiti, i caschi, i manganelli e cambiò idea scappando per le scale. Altri sono stati più lenti. Erano ancora nei sacchi a pelo. Un gruppo di dieci spagnoli si svegliò con i colpi dei manganelli. Alzarono le mani in segno di resa. E sempre più agenti li picchiavano in testa, tagliando e ferendo e rompendo arti, compreso il braccio di una signora di 65 anni. Da un lato della stanza, alcuni giovani sedevano davanti ai computer e mandavano email a casa. Una di loro era Melanie Jonasch, 28 anni, studente di archeologia a Berlino, volontaria nella gestione dell’edificio, che non era nemmeno stata alle manifestazioni. Lei ancora non riesce a ricordare cosa è successo. Ma molti altri testimoni hanno raccontato come gli agenti le si sono lanciati addosso, picchiandola in testa così forte da farle perdere subito i sensi. Quando cadde, gli agenti la circondarono, picchiandola ancora e prendendola a calci, sbattendole la testa contro una lavagna e lasciandola in una pozza di sangue. Katherina Ottoway, che ha visto tutto questo, ricorda: «Tremava tutta. I suoi occhi erano aperti ma girati. Pensavo che sarebbe morta». Nessuno di quelli che erano a terra è riuscito a evitare ferite. Come Zucca ha scritto nel suo atto d’accusa: «Nel giro di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra erano stati ridotti in uno stato di completa impotenza, i lamenti dei feriti si mischiavano con il suono delle richieste di ambulanze». Poi i tutori della legge sono saliti lungo le scale. Nel corridoio del primo piano trovarono un gruppo di persone, compreso Geiser, ancora con lo spazzolino in mano. «Qualcuno consigliò di sdraiarci, per far vedere che non facevamo resistenza. E così ho fatto. Gli agenti sono arrivati e hanno iniziato a picchiarci, uno per uno. Mi sono protetto la testa con le mani e ho pensato ‘Devo sopravvivere’. La gente attorno gridava, ‘per favore, basta’. Anche io l’ho detto. Pensavo a una macelleria, ci stavano trattando come animali». Gli agenti abbatterono le porte delle stanze che portavano fuori dal corridoio. In una stanza trovarono Dan MacQuillan e Norman Blair, arrivati da Stansted per mostrare il loro appoggio «a una società libera e uguale dove le persone vivono in armonia». I due inglesi e il loro amico neozelandese Sam Buchanan avevano sentito l’attacco ai piani inferiori e stavano cercando di nascondersi sotto alcuni tavoli nell’angolo di una stanza buia. Una decina di agenti fece irruzione e li scovò con una torcia e, per quanto MacQuillan stesse con le mani alzate dicendo ‘Piano, piano’, li picchiarono, causandogli molte ferite e tagli e rompendo il polso di MacQuillan. Norman Blair ricorda: «Potevo sentire il veleno e il loro odio». Gieser era nel corridoio: «La scena attorno a me era coperta di sangue, dappertutto. Un poliziotto gridò ‘Basta’. Una parola che sembrava una speranza. Eppure non si fermavano. Continuavano con piacere. Alla fine si sono fermati, ma come se si togliesse un giocattolo a un bambino, riluttanti». In quel momento c’erano agenti in tutti i quattro piani dell’edificio, che prendevano a calci e picchiavano. Molte vittime hanno descritto una specie di sistema della violenza, con ogni agente che picchiava ogni persona che si trovasse davanti, prima di passare alla successiva, mentre un collega picchiava quella di prima. Sembrava importante che chiunque fosse ferito. Nicola Doherty, 26 anni, un’assistente di Londra, ha descritto come il suo partner Richard Moth si sia sdraiato per proteggerla: «Potevo sentire ogni colpo sul suo corpo. I poliziotti si spostavano oltre Richard per colpire ogni mia parte esposta». Ha cercato di proteggersi la testa con le mani e le hanno rotto un polso. In uno dei corridoi, gli agenti avevano ordinato a un gruppo di giovani uomini e donne di inginocchiarsi per poterli picchiare meglio sulle spalle e sulla testa. E’ stato in quel momento che Daniel Albercht, 21 anni, studente di violoncello di Berlino, ha riportato una frattura alla testa talmente profonda da avere bisogno di un’operazione chirurgica per fermare l’emorragia celebrale. Attorno all’edificio, gli agenti avevano impugnato i manganelli al contrario, per usare l’impungatura a L come un martello. E in tutta questa violenza, ci sono stati momenti in cui la polizia ha preferito l’umiliazione: l’agente che stava a gambe divaricate di fronte a una donna ferita e inginocchiata, le ha preso la testa per tirarsela verso l’inguine, prima di girarsi e fare la stessa cosa con Daniel Albercht, inginocchiato accanto a lei; l’agente che durante i pestaggi ha usato il coltello per tagliare una ciocca di capelli alle sue vittime, compreso Nicola Doherty; gli insulti continui; l’agente che ha chiesto a un gruppo di persone se stavano bene e ha reagito con una nuova manganellata a chi ha detto ‘No’. Qualcuno è sfuggito, almeno per un po’. Karl Boro è riuscito a raggiungere il tetto ma poi ha fatto l’errore di rientrare nell’edificio, dove lo hanno ridotto con un braccio ferito, una frattura cranica e sangue nel petto. Jaraslaw Engel, dalla Polonia, era riuscito a usare le impalcature attorno all’edificio per uscire dalla scuola, ma è stato intercettato in strada da alcuni agenti, che gli hanno rotto la testa, prima di mettersi a fumare mentre il suo sangue bagnava l’asfalto. Due degli ultimi a essere presi sono stati una coppia di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, di 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un armadietto delle pulizie, al piano superiore. Hanno sentito gli agenti avvicinarsi, sbattendo i manganelli lungo i muri. La porta dell’armadietto si aprì, Martensen è stato trascinato fuori e picchiato da una decina di agenti in semicerchio attorno a lui. Zulkhe è scappata nel corridoio e si è nascosta nei bagni. Gli agenti l’hanno vista, inseguita e trascinata per i dreadlock. Nel corridoio, hanno giocato con lei come cani con un coniglio. E’ stata picchiata in testa e presa a calci quando era a terra, fino a che non le hanno rotto le costole. E’ stata bloccata al muro, dove un agente le ha dato una ginocchiata all’inguine, mentre gli altri continuavano a pestarla con i manganelli. Quando è scviolata a terra, hanno continuato a picchiarla: «Sembrava che si divertissero e quando gridavo sembrava che si divertissero di più». Gli agenti trovarono un estintore e spruzzarono la schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna è stata trascinata per le scale, dai capelli, testa in avanti. Hanno portato Zulkhe fino al piano terra, dove avevano radunato tutti i prigionieri dagli altri piani, in un caos di sangue ed escrementi. L’hanno gettata su altre due persone, immobili, tanto che Zulkhe chiese cautamente se erano ancora vivi. Senza risposta, anche lei si accasciò sul pavimento, incapace di muovere il braccio destro, e di fermare il tremore al braccio sinistro e alle gambe, nonché il sangue. Un gruppo di agenti passava lì vicino, e ciascuno si tolse il fazzoletto per sputarle addosso. Perché dei tutori della legge possono comportarsi con tanto disprezzo della legge? La semplice risposta può essere quella che veniva gridata dai manifestanti fuori dalla scuola, che scelsero una parola che sapevano i poliziotti avrebbero capito. «Bastardi». Ma c’è qualcos’altro, qui, qualcosa emerso più chiaramento nei giorni successivi. Covell e decine di altre vittime furono portate nell’ospedale San Martino, dove gli agenti camminavano nei corridoi facendo suonare i manganelli nel palmo delle mani, ordinando ai feriti di non guardare fuori dalla finestra o di non muoversi, tenendoli ammanettati e poi, spesso con le ferite ancora non chiuse, portandoli con decine di altri manifestanti nel centro di detenzione di Bolzaneto. I segni di qualcosa di peggiore apparvero all’inizio in modo superficiale. Alcuni agenti avevano canzoni fasciste come suonerie dei loro telefonini e parlavano con entusiasmo di Mussolini e Pinochet. Più volte, è stato ordinato ai prigionieri di gridare «Viva il duce». Alcune volte, i prigionieri sono stati minacciati per costringerli a cantare canzoni fasciste. Le 222 persone detenute a Bolzaneto sono state sottoposte a condizioni che i pubblici ministeri hanno descritto come tortura. Al loro arrivo, venivano marchiati con una croce di vernice su ogni guancia e molti di loro sono stati costretti a camminare in mezzo a due linee parallele di funzionari che li prendevano a calci e a manganellate. La maggior parte è stata ammassata in celle grandi, con oltre 30 persone. Lì venivano costretti a rimanere in piedi per molto tempo, con la faccia verso il muro, le braccia alzate e le gambe larghe. Chi non ce la faceva, veniva insultato, picchiato umiliato. Mohammed Tabach, con una gamba artificiale, non poteva farcela e si è beccato due spruzzate di spray urticante in faccia e poi un pestaggio particolarmente brutale. Norman Blair avrebbe poi ricordato che mentre stava in questa posizione, un agente gli chiese: «Chi è il tuo governo»? «La persona prima di me aveva risposto Polizei e io ho fatto la stessa cosa per non essere picchiato». Stefan Bauer ha osato replicare: quando un agente che parlava tedesco gli ha chiesto di dove fosse, lui ha risposto che era dell’Unione europea e aveva il diritto di andare dove voleva. E’ stato preso, picchiato, spruzzato con lo spray urticante, spogliato nudo e gettato sotto una doccia gelata. I suoi vestiti sono stati gettati via ed è stato rimandato nella cella gelata solo con addosso una tuta da ospedale. Tremando sul freddo marmo della cella, i prigionieri non ricevevano né coperte, né cibo e gli veniva negato il diritto di fare una telefonata a un legale, cui avrebbero avuto diritto. Dalle altre celle si sentivano urla e pianti. Agli uomini e alle donne con i dreadlock sono stati tagliati grossolonamente i capelli fino alla cute. Marco Bistacchia è stato portato davanti a un agente, spogliato, fatto inginocchiare, abbaiare come un cane e gridare «Viva la polizia italiana». Un agente ha detto al quotidiano italiano La Repubblica, in condizioni di anonimato, di aver visto alcuni agenti urinare addosso ai detenuti e picchiarli per essersi rifiutati di cantare Faccetta nera, una canzone dell’era fascista. Ester Percivati, una giovane donna turca, ricorda le guardie che la insultavano mentre andava in bagno, dove un’agente donna l’ha costretta a infilare la testa nella tazza, mentre un maschio commentava, «Bel culo! Ci vuoi un manganello?». Molte donne hanno riferito di minacce di stupro. Perfino l’infermeria era pericolosa. Richard Moth, coperto di tagli ed escoriazioni, ha avuto suture sulla testa e sulle gambe senza anestesia: «Un’esperienza molto dolorosa. Dovevano tenermi fermo. ». Tra i condannati di lunedì c’è anche personale medico della prigione. Tutti sono d’accordo che non si trattava di un modo per far parlare i detenuti, ma solo di un esercizio di paura. Che ha funzionato. Nelle dichiarazioni, i prigionieri hanno descritto le loro sensazioni di impotenza, di isolamento dal resto del mondo, in un mondo senza leggi né regole. La polizia ha perfino fatto firmare delle dichiarazioni di rinuncia a tutte le tutele legali. Un uomo, David Laroquelle, ha testimoniato di essersi rifiutato di firmare, e di aver avuto tre costole rotte. Anche Percivati si è rifiutata, ed è stata sbattuta contro un muro, occhiali rotti e naso sanguinante. Il mondo esterno ha ricevuto alcuni resoconti molto distorti di tutto questo. Nell’ospedale di San Martino, il giorno dopo il suo pestaggio, Covell si sentì scuotere da una persona che gli sembrò essere dell’ambasciata britannica. Solo quando ha visto il fotografo accanto a lei ha capito che era una reporter del Daily Mail. In prima pagina, il giorno dopo, c’era un resoconto del tutto falso che lo descriveva come il cervello delle rivolte. [Quattro lunghi anni più tardi, il Mail ha chiesto scusa e ha pagato a Covell il risarcimento per l’invasione della privacy]. Mentre i suoi cittadini venivano picchiati e tormentato in uno stato di detenzione illegale, i portavoce del primo ministro Tony Blair, dichiarava: «La polizia italiana ha dovuto svolgere un compito difficile. Il primo ministro crede che lo abbiano fatto». La polizia italiana ha fornito ai media una ricca messe di falsità. Perfino mentre i corpi sangunanti venivano portati via dalla Diaz, gli agenti dicevano ai giornalisti che le ambulanze che erano sul posto non avevano nulla a che vedere con il blitz e che le ferite, chiaramente freschissime, erano vecchie e che l’edificio era pieno di violenti estremisti che avevano attaccato gli agenti. Il giorno dopo, alti funzionari hanno tenuto una conferenza stampa per annunciare che tutte le persone trovate nell’edificio sarebbero state accusate di resistenza e di associazione a delinquere finalizzata al saccheggio. I tribunali italiani hanno fatto cadere ogni capo d’accusa contro ogni persona. Compreso Covell. I tentativi della polizia di accusarlo di una serie di reati molto gravi sono stati descritti dal pm Zucca come «grotteschi». In quella stessa conferenza stampa, la polizia mostrò un bagaglio di quelle che secondo loro erano armi. C’erano sbarre, martelli, chiodi che gli agenti stessi avevano preso da un magazzino di edilizia vicino alla scuola. C’erano strutture di zaini in alluminio, presentate come armi offensive; 17 macchine fotografiche; 13 paia di occhialetti da piscina; 10 coltellini e una bottiglia di lozione solare. Mostrarono anche due bottiglie molotov che, ha concluso Zucca, la polizia aveva trovato prima in un’altra zona della città e portato alla Diaz dopo la fine del raid. Questa disonestà pubblica era parte di un più ampio sforzo per insabbiare quello che era successo. Nella notte del raid, un reparto di 59 poliziotti è entrato nell’edificio di fronte alla Diazx, dove Covell e altri avevano allestito il loro centro media e dove, elemento cruciale, era sistemato un gruppo di avvocati che avevano raccolto le prove della violenza della polizia nelle manifestazioni dei giorni precedenti. Gli agenti sono entrati nella stanza degli avvocati, minacciato gli occupanti, distrutto i computer, sequestrato gli hard-disk e portato via qualsiasi cosa contenesse foto o filmati. Mentre i tribunali rifiutavano di convalidare le accuse contro gli arrestati, la polizia riuscì ad ottenere un ordine di espulsione per tutti gli stranieri, con il divieto di ritorno in Italia per cinque anni. Così, i testimoni venivano tolti di scena. Come per le accuse, gli ordini di espulsione sono stati poi cancellati, in quanto illegali, dal tribunale.
Zucca si è aperto la strada attraverso anni di dinieghi e insabbiamenti. Nel suo resoconto, ha scritto che tutto i funzionari di alto rango hanno negato di aver avuto un ruolo: «Non un solo funzionario ha ammesso di aver avuto un ruolo di comando in qualche aspetto dell’operazione». Un funzionario che era stato ripreso in un video sul posto, ha poi spiegato che era fuori servizio e che era lì solo per assicurarsi che i suoi uomini non fossero feriti. Le dichiarazioni della polizia sono state mutevoli e contraddittorie e contraddette dalla valanga di prove delle vittime e di molti video: «Non un solo agente dei 150 presenti ha riferito informazioni precise su un episodio individuale». Senza Zucca, senza l’atteggiamento fermo dei tribunali italiani, senza il lavoro di Covell nell’assemblare i video girati durante il raid alla Diaz, la polizia avrebbe potuto schivare la responsabilità e avrebbe potuto assicurarsi false accuse e perfino sentenze di condanna contro le vittime. Oltre al processo per Bolzaneto, concluso lunedì, 28 altri agenti, alcuni molto in alto nei ranghi, sono sotto processo per il raid alla Diaz. E di nuovo la giustizia è stata compromessa. Nessun politico italiano è stato chiamato a rispondere, nonostante il forte sospetto che la polizia abbia agito come se qualcuno avesse promesso l’impunità. Un ministro ha visitato Bolzaneto mentre i detenuti venivano maltrattati e apparentemente non ha visto nulla oppure non ha visto nulla che ha pensato di dover fermare. Un altro, Gianfranco Fini, ex segretario nazionale del partito neo-fascista Msi, e allora vice primo ministro – secondo i resoconti dei media di allora – era nel quartier generale della polizia. Non gli è mai stato chiesto di spiegare che ordini abbia dato. Molti delle centinaia di tutori della legge coinvolti nella Diaz e a Bolzaneto se la sono cavata senza alcuna punizione o accusa. Nessuno è stato sospeso; alcuni sono stati promossi. Nessuno degli agenti processati per Bolzaneto è stato accusato di tortura – la legge italiana non prevede questo reato. Alcuni alti funzionari che in origine avrebbero dovuto essere accusati per il raid alla Diaz sono stati scagionati semplicemente perché Zucca non è riuscito a provare l’esistenza di una catena di comando. Anche adesso, il processo a 28 agenti è a rischio perché il primo ministro Silvio Berlusconi sta spingendo un disegno di legge per rinviare tutti i processi che hanno a che fare con fatti accaduti prima del giugno 2002. Nessuno è stato incriminato per la violenza inflitta a Covell. Come dice uno degli avvocati delle vittime, Massimo Pastore: «Nessuno vuole ascoltare ciò che questa storia ha da dire». Si tratta di fascismo. Ci sono molte voci sul fatto che la polizia, i carabinieri e il personale penitenziario appartenessero a gruppi fascisti, ma non sono state trovate le prove. Pastore dice che così, comunque, si manca il punto principale: «Non è questione di pochi fascisti ubriachi. Nessuno ha detto ‘no’. Questa è la cultura del fascismo». Al cuore, tutto ciò coinvolge quello che Zucca nel suo rapporto descrive come «una situazione in cui ogni stato di diritto è stato sospeso». Cinquantadue giorni dopo l’attacco alla scuola Diaz, 19 uomini hanno usato aerei carichi di passeggeri come bombe volanti e hanno modificato il nucleo dei principi su cui le democrazie occidentali si erano basate. Da allora, politici che mai accetterebbero di essere chiamati fascisti, hanno accettato intercettazioni telefoniche di massa e controllo delle email, detenzioni senza processo, torture sistematiche, annegamento simulato dei detenuti, arresti domiciliari illimitati e l’uccisione mirata dei sospetti, mentre le procedure dell’estradizione sono state sostituite dalle extraordinary rendition. Non è fascismo con dittatori in stivali e schiuma alla bocca. E’ il pragmatismo di politici rovesciati dal didentro. Ma l’esito sembra molto simile. Genova ci dice che quando lo stato si sente minacciato, lo stato di diritto può essere sospeso. Ovunque.

Nick Davies

Per non dimenticare una barbarie indegna di uno stato "civile".

Alessio

mercoledì 18 giugno 2008

Il faceto pallonaro

Scendiamo terribilmente di livello rispetto all'intervento precedente, ma credo che questo sia una delle cose più divertenti che abbia mai letto. Direttamente da www.mondopallone.net:

La Sghimberlo-Cronaca diretta di Italia-Francia

0′ - Inni nazionali cantati con l’aiuto di un improbabile schermo da karaoke allo stadio svizzero, andiamo a leggere le parole di Fratelli D’Italia e scopriamo che la grammatica di Aldo Biscardi è da Accademia della Crusca. Però siamo onesti: la cioccolata la sanno fare.

1′ - Dal primo tocco della prima palla della partita Bagni ha già capito per filo e per segno tutte le tattiche di Domenech, Napoleone Bonaparte e Giovanna d’Arco.

2′ - Speriamo di segnare subito il gol che ci annulleranno, così poi sarà tutta discesa.

3′ - La regia indugia spesso e volentieri su raccapriccianti primi piani di Frank Ribéry. Dev’esserci Quentin Tarantino in sala comandi.

4′ - Un pagliaccio di nome Luca Toni divora un gol fatto a tu per tu con Cabriolet. Non crediamo che sia già stata inventata la bestemmia adatta per descrivere questa azione.

5′ - La mossa di Zambrotta di trombare con settantasei pornostar dieci minuti prima di ogni partita non sembra stia dando frutti interessanti. Quantomeno per la sua squadra.

7′ - Ribéry a terra dolorante, ma nessun massaggiatore francese ha il coraggio di toccarlo. Paris interviene: “il suo volto sembra una maschera di dolore”. Qualcuno gli spiega subito dopo che quello è il ginocchio.

9′ - Esce Ribéry che è troppo brutto per poter giocare. Entra Nasri. Bagni dimostra subito di conoscere molto bene il nuovo entrato: “Questo giocatore ha due piedi, per cui è molto pericoloso”.

11′ - Civoli: “In quanto a calci d’angolo battuti siamo in testa a tutte le classifiche”. Non ci sentivamo così orgogliosi dai tempi di Ettore Fieramosca.

13′ - Panucci tenta il bis, Cabriolet non effettua una parata da nove anni, ma ci pensa Makelele sulla linea di porta. In quanto a buona sorte siamo una via di mezzo fra Pollyanna e Paperino.

15′ - De Rossi ha già percorso setteacentodiciannove chilometri e toccato più palle che Jessica Rizzo nell’intera carriera. Un cammello down avrebbe più intuito di questo Donadoni.

18′ - Evra si aggiusta una I in mezzo al cognome e tenta di rendere eunuco il nostro Cassano. Giallo per lui.

19′ - Cassano ed Evra continuano a beccarsi. Chissà in che lingua, visto che entrambi non sanno né il francese né l’italiano.

22′ - Perrotta non centra uno stop da quando la Fiat Regata era una macchina di lusso.

24′ - Rigore ed espulsione contro la francia. Nettissimo. Succede anche questo quando ad arbitrarci è un arbitro e non un metalmeccanico pelato di cinquantasei anni.

25′ - De Rossi si rifiuta di tirarlo perché Coupet è troppo scarso. Ci pensa Pirlo che non sbaglia, ma l’arbitro aveva già fischiato la rete prima che il numero 21 italiano avesse preso la rincorsa.

28′ - Siluro terra-aria di De Rossi che uccide settantasei tifosi in curva. Adesso sembriamo una squadra di pallone.

29′ - Super-rovesciata di Toni che salta fra sette hula-hop infuocati con dodici chili di mortaretti infilati nelle gengive, palla fuori di poco. Un minuto dopo l’attaccante del Bayern torna sui suoi standard ciccando una palla che avrebbe messo in rete anche Suor Germana.

30′ - Toni è ufficialmente il quarto difensore della Francia.

31′ - Perrotta e Zambrotta, un’associazione a delinquere in versi. Ma prima o poi ne azzeccheranno una, non disperiamo.

33′ - Primo cross di Grosso, che nella partita contro la Romania era stato ribattezzato “Crosso”. Palla che finisce a fare compagnia a quella di De Rossi di qualche minuto prima. Da qualche parte nella Ruhr c’è un bambino felice, con due palloni nuovi di zecca.

34′ - Diagonale a fil di palo di Henry, mentre i difensori si facevano un cicchetto all’Autogrill di Arese. Intanto a Berna Robben da solo senza portiere mette fuori di sette metri. Non sarà un biscotto, sarà una sachertorte da 25 metri quadrati.

39′ - Varriale: “Urlaccio di Donadoni nei confronti di Gattuso”. Gli stava solo comunicando che non deve scodinzolare troppo forte perché leva la visuale a Pirlo.

40′ - Cassano continua imperterrito a comportarsi come un Testimone di Geova durante questi Europei. Adesso ha chiesto scusa a Toulalan per la disfatta dei Franchi ad Agincourt.

43′ - De Rossi salta in dribbling seicentosei birilli col galletto, prima di venire steso con una cerbottana di curaro. Eh, quando l’allenatore ci sa fare…

44′ - Grosso coglie un palo clamoroso. Jessica Rizzo surclassata per la seconda volta in venti minuti. Il replay ci dà due illuminazioni: la prima è che Coupet ha deviato il pallone, compiendo la prima parata del suo Europeo. La seconda racconta clamorosamente del fatto che Domenech sia riuscito nell’impensabile impresa di trovare un portiere più brutto di Barthez.

45′ - Ammonito Pirlo. Salterà Romania-Spagna.

48′ - Gioco fermato perché Evra si stava allacciando le caviglie. Dall’altra parte Perrotta muore in area francese e l’arbitro infierisce con calci e pugni, finendolo. Venti secondi dopo Chiellini ammonito perché ha colpito il pallone troppo forte. Abete in UEFA conta come i carrarmatini del Risiko a Monopoli.

INTERVALLO

46′ - Fallaccio di Govou su Cassano. Francese (si fa per dire) ammonito mentre Antonio si rammarica per aver applicato dell’attrito sui suoi tacchetti con la propria caviglia.

50′ - Henry cicca e Benzema conclude due metri alto. E’ destino che gli azzurri siano lassativi, in un modo o nell’altro.

52′ - L’urlo disumano della curva ci illude invano. Non succede niente a Berna. Il grido era dovuto al fatto che Jessica Rizzo ha promesso di riagguantare i record.

54′ - Ennesima cretinata di Toni. Non credevamo di poter rimpiangere uno come Borriello… Intanto Ringhio si fa ammonire: anche lui è diffidato, un’eventuale prossima partita la giocheremmo con Amelia in cabina di regia.

56′ - L’urlo fu profetico. Sneijder porta in vantaggio i Tulipani a Berna. La panchina italiana viene avvertita dai giornalisti RAI tramite un passaparola stile “telefono senza fili”. La notizia arriva così un po’ ingigantita all’ultimo dei massaggiatori, che sta ancora esultando per la tripletta di Van Basten, magicamente rientrato col numero 12.

59′ - I giocatori azzurri, da qualche minuto, sembrano i Centocelle Dream Men. Donadoni ha appena vomitato la milza e sta tentando di ingoiare il quarto uomo.

61′ - Gran lancio per Toni, che non aggancerebbe nemmeno col motorino. Se Zenone di Elea fosse ancora vivo sarebbe famoso col paradosso di Achille e Luca.

63′ - De Rossi calcia a rete una punizione sfruttando una deviazione. Rinnoviamo i nostri complimenti al coach, De Rossi è proprio scarso.

64′ - Dentro Camoranesi per Perrotta. Ora lo scacchiere italiano è chiaro più o meno come il terzo messaggio di Fatima.

66′ - Toni perderebbe nei cento metri piani contro Alex Zanardi. O Donadoni lo cambia o gli dà un monopattino.

70′ - Il povero Domenech sembra Noè mentre conta i mamba.

71′ - Civoli come Bramieri: “Grosso chiede il movimento di Toni”.

72′ - Toni affondato da un duro tackle di Boumsong. Purtroppo, però, si sta rialzando.

74′ - Buffon sposta un pallone dall’angolino e lo butta miracolosamente in angolo. Se volesse, potrebbe trasformare con nonchalance una Fiat Panda in una Seat Marbella.

76′ - Gallas uccide Camoranesi e l’arbitro intima all’argentino di rialzarsi. Se a dirigere la gara fosse Edwige Fenech almeno potremmo cacciare fuori la lingua…

78′ - Ora è torello. Non l’arbitro, eh: il gioco azzurro.

79′ - Strane pretese dell’ “arbitro” Michel che si rivolge a Buffon ordinandogli di non fare più figli per nessuna ragione.

83′ - Toni e Gallas si giurano eterno amore nell’area biancorossoblù. Fischia Michel, che adora gli horror: da quando sono usciti Abidal e Ribéry non è più lo stesso.

86′ - Raddoppio dell’Olanda. Non ci avremmo creduto nemmeno se fosse apparso San Francesco al posto del Monoscopio RAI.

89′ - La panchina italiana si abbandona a combattimenti clandestini fra riserve. Da un paio d’anni i galli non vanno più tanto di moda…

93′ - Finite entrambe le partite. Parentesi seria per lo sghimberlo di quest’oggi, un po’ vittima della terribile tensione (ce ne scusiamo). Van Basten e la sua Olanda meritano davvero di vincere l’Europeo. Chapeau collettivo.

94′ - L’Italia batte la Francia e si qualifica ai quarti grazie alle prestazioni megagalattiche di Grosso, De Rossi e Cassano. Se andate a dare un’occhiata alla formazione azzurra contro l’Olanda capirete per quale ragione a Donadoni viene accreditato l’intuito di un termosifone. Spento.

Gaetano Allegra


Che aggiungere se non... LOL XD

Alessio